Come forse ricorderete ad aprile 2015 ho raccontato il mio viaggio a Catania all’insegna dell’arte urbana e della scoperta del territorio, purtroppo in condizioni di salute un po’ precarie. Un po’ per il poco tempo a disposizione, un po’ per la situazione disagiata, un po’ ovviamente per il desiderio di rincontrare gli amici locali, mi ero ripromessa di tornare. Ebbene, ora ho un motivo in più, e si chiama Vlady Art.
Artista nato a Catania ma dai lunghi trascorsi in giro per l’Europa, la cui produzione artistica, perlopiù istallativa, concettuale e site-specific, è portatrice di messaggi forti, ironici, sarcastici, sempre semplici ma efficaci.
Urban Lives non è solo viaggi-reportage, eventi e interviste, è anche e soprattutto frutto di chiacchierate, chattate e confronti a distanza: con Vlady Art tutto ha avuto inizio da Facebook, lunghissime chat in cui ci siamo raccontati e confrontati, a volte un po’ scontrati, ma sempre con la voglia di arricchirci e scoprire nuovi punti di vista. Il caso ha voluto che proprio nel periodo più intenso di corrispondenza l’artista sia stato selezionato per quello che può essere considerato il primo grande evento di street art a Catania, parlo di Street Art Silos. La prima parte dell’evento, a cura di Emergence Festival, si è svolto questa estate e ha visto come protagonisti artisti di rilievo sia italiani che internazionali, ovvero OKUDA (Spagna), ROSH333 (Spagna), MICROBO (Italia), BO130 (Italia), DANILO BUCCHI (Italia), INTERESNI KAZKI (Ucraina), VHILS (Portogallo) che realizzerà gli otto Silos che si rivolgono al Mare, e appunto VLADY ART.
Obiettivo quello di dare nuova vita e colore al gruppo di silos del Porto di Catania, reinterpretando in maniera creativa e anticonvenzionale l’identità della Sicilia e le sue tradizioni.
Mi è sembrata un’occasione perfetta per dare voce a Vlady Art, che ringrazio per la disponibilità e le foto, ripercorrendo con lui non solo Street Art Silos ma la sua produzione artistica, che trovo davvero originale, e la sua personale visione della situazione in Sicilia. Non importa se non siamo pienamente d’accordo su tutto, per me è fondamentale dare voce anche ad artisti che hanno un punto di vista diverso, anche nella speranza di un dialogo costruttivo non solo con me ma anche tra gli artisti stessi:
Ciao! A Catania si è conclusa in estate la prima parte dell’evento Street art Silos: qualcuno su Facebook ha affermato che con la tua opera hai reso chiaro il corto circuito e la contaminazione da tempo evidente tra street-art e pop art. Sei d’accordo? Che messaggio volevi lanciare? E cosa ti ha lasciato di positivo questa esperienza?
La pop art per prima ha investigato molti aspetti cari alla street art, trasformando in arte la cultural jam (TV, pubblicità, fumetti, cartoni, cinema, attualità ecc.). L’anello di congiunzione l’hai con l’incontro tra Warhol e Basquiat. Ma, il mio lavoro è pop solo nell’accezione più concettuale del termine. Si tratta di un intervento site specific, non di un disegno sul silos. Traccio una linea che passa attraverso Warhol, Manzoni, Schifano ed altri ancora. Sono barattoli dai contenuti surreali, illogici, che mi danno l’occasione per lanciare messaggi testuali, come farebbero i manifesti. Ovviamente, la nostra è una filosofia che rimane spicciola e scanzonata come la pop, quindi il genere di scritte e citazioni non riflette in modo egualmente profondo, le prime esperienze degli anni ’60.
Cosa mi ha lasciato di positivo?
Il supporto della gente e la bellezza dei colleghi fanno parte di ogni happening artistico. Stavolta, c’è qualcosa di nuovo davvero: la confidenza con il supporto e le dimensioni. Sembra una banalità, ma se riavessi un silos da 28 metri domani, lo terminerei nella metà del tempo, coordinando anche il mio team di supporto in maniera più operativa.
La tua arte contamina la città con messaggi sovversivi, ironici, sarcastici, che sfidano luoghi comuni e spesso prendono di mira il nuovo avvento dei social media e della comunicazione di massa. Di fatto, che reazione speri abbiano i passanti e in generale i fruitori delle tue opere?
Esatto, il più della mia produzione è un’arte di interventi, quindi portatori di messaggi. Ma non inseguo il mito della comunicazione con il passante; cioè, non per forza e non necessariamente con tutti. La street art è solo potenzialmente “per tutti”; è all’aperto, ma non sempre accessibile per chiunque (a meno che si tratti di temi estremamente popolari, magari figurativi!). A Berlino, New York, ma pure a Milano, la gente è assai ricettiva. A Catania invece si opera spesso nella totale indifferenza dei passanti. Nessuno dice nulla, il che è male e bene, dipende dalle circostanze. C’è chi fa finta di non vedere, c’è chi ha uno sguardo accusatorio. Raramente si propende per il “wow, che figo, sei un artista? posso mettere la foto su Instagram?”. Ho termine di paragone, ho lavorato in modo estemporaneo e performativo in diverse città, ecco perché faccio confronti.
Analizzo i nuovi media per analizzare le nevrosi umane, i paradossi. Talvolta miro alla pubblicità, perché noto la gente assuefatta, anzi, compiaciuta dei vari brand “di famiglia”, come McDonald’s, Nutella o Coca-Cola. Analizzo anche l’arte, gli (street) artisti, i writer. Scrivo molti messaggi (concetti, non slogan) ma non provengo dal filone dei graffiti, propriamente detti. Appunto. Mi trovo bene dentro gli interventi urbani, il situazionismo, l’attivismo, dentro tutte quelle esperienze controculturali, vicine al punk, nate almeno 40 anni fa ma oggi miste e rivisitate con elementi di post-graffitismo. Poiché non sento la necessità d’apparire e di presidiare il territorio, molte mie cose o durano volutamente pochissimo (sono rimovibili) o non sono facili da individuare. Alcuni progetti poi… sono unicamente fotografici. Penso quindi di stare dentro una nicchia, ai margini della street; chi fa questo come lo faccio io, non può essere main stream. Se volessi platee enormi e visibilità garantita farei disegni in pieno centro, magari firmandomi. Ma comunicare troppo è come comunicare troppo poco, è un’autogoal. Trovassimo un Banksy in ogni angolo, i suoi lavori si banalizzerebbero.
Non sono molti in Italia gli “street artist” che, come te, ricorrono alla strada come “palcoscenico” per lanciare messaggi provocatori: hai qualche nome da segnalarci e/o consigliarci?
Pochissimi, ma il mio genere (o parte del mio genere) non è limitato dentro i confini della “street art”. Ci sono altri artisti che hanno usato lo spazio (urbano, naturale). E bada bene che la street art è temporale, ma l’arte sarà eterna. Capisco la difficoltà con cui molti siti di street art e graffiti parlano di me/noi, perché siamo ai margini; ma è qui che l’urbano si sposa con il concettuale. Occorre investigare di più questo ambito.
Qualche nome: Filippo Minelli, Rub Candy, Elfo, Guildor, Uwe Jäntsch. Sarebbe però un discorso lungo: anche Bros (per dirne uno) ha eseguito interventi!
Quanto tempo impieghi mediamente a progettare e realizzare un’opera o installazione?
Mai troppo. Questa è una delle sostanziali differenze con il passato, o con l’artista tradizionale. Credo nell’improvvisazione e nell’espressione spontanea. Si scende in strada con pochi mezzi e soldi, quindi buona la prima. Per varie ragioni però perdo molto tempo dall’idea all’attuazione. Ho talmente tanti progetti che inevitabilmente si crea un ingorgo e capita di avere idee ferme in cantiere anche per anni.
Raccontaci gli inizi della tua carriera artistica: qualcosa o qualcuno ha alimentato la tua creatività?
Faccio qualcosa di simile ad oggi da almeno 10 anni: dare una seconda vita ad oggetti consueti, creando ironia e spiazzamento. Trasformai un serbatoio d’acqua in un prato in una mucca pezzata. Mi trovai a mio agio, mi fece sorridere. Continuai per questo. Le mie prime foto in strada erano con una Kodak da soli 2 megapixel e… pensavo bastasse!
Ma non ho iniziato senza avere un passato. Ho sempre disegnato: tutti i bambini lo fanno, pochi adulti continuano. Sul finire degli anni ’80 avevo già sviluppato una mia tag, una specie di “W”. Riempii tutta la scuola e il quartiere con un Uni marker. Come tutti direi. Ho anche ragioni di famiglia e poi tra istituto d’arte e accademia, è una scelta di vita. Credo inoltre che, un onesto e veritiero percorso da street artist, si intraprenda più per caso che per volontà. Questo è come il crimine e non si decide di delinquere di punto in bianco. Ci si trova a delinquere, è la strada che sceglie te, non tu la strada.
Ci sono letture, canzoni, interessi che hanno influenzato significativamente il tuo percorso artistico?
Il mio percorso si snoda tra arte e architettura. I libri, i viaggi e le persone; tutto ha un peso. Il mio caro testo di storia dell’arte, il mitico Giulio Carlo Argan, fu per la mia generazione un vero libro sacro. Per rimanere in tema urban, consiglio il libro Trespass sia per le immagini che per i testi. E poi i Joy Disivion, i Clash, i Sex Pistols e come cross over, i Rage Against the Machine. Sabotaggi? Fight Club. Pedalare poi, è la vera scelta anarchica e consiglio di non prendere lezioni di libertà da nessuno che non usi la bicicletta.
Cosa ne pensi della scena di arte urbana catanese e siciliana in generale?
Capisco la tua domanda… e forse so di che parere sei. Molti venendo qui si aspettano di trovarsi di fronte al nulla. Poi, sorpresi che c’è qualcosa, incominciano addirittura ad esaltare questa realtà, quasi come incoraggiamento.
Io qui ci vivo. Non adoro la compassione, mi piacciono le sfide alla pari. Potrei risponderti “fantastica”, con leggerezza e senza perizia. Ma al campanilismo preferisco l’oggettività, quindi farei un’analisi più professionale.
Qui si confonde la tecnica con lo stile. La prima c’è, la seconda non abbonda. La Sicilia conta gli abitanti di Milano e Roma messe insieme; più di Emilia Romagna o Piemonte. Tu dimmi se possiamo competere. Mi spiego meglio. Che la realtà locale sia sottostimata o poco considerata è un fatto, ma la colpa è pure del nostro mancato sviluppo. Eventi piccoli, realtà ottuse, nomi non considerevoli. In tutta l’isola c’è un solo festival, una sola galleria che tocca il tema, un paio di nomi e tanta disinformazione. Ci sono delle ragioni ovviamente. Siamo penalizzati dall’insularità ma pure da gap culturali. Per noi mantenere i contatti significa prendere aerei. Qui tutto (e come tutto) arriva in ritardo; la cosa è appena esplosa, abbiamo un casino di esordienti e francamente nessun “nonno”, sul territorio. Il pubblico si sta recentemente appassionando; così i media. Continuano a non capirne un cazzo, prendendo fischi per fiaschi… però si stanno appassionando.
Dall’altro canto, devo dirti che a parer mio certuni che operano al centro-nord sono sovrastimati. Hanno un ottimo seguito, godono di contatti frenetici con i colleghi, hanno l’appoggio di gallerie… ma sono diventati dei nomi senza aver particolare talento.
Ma torniamo in Sicilia. Per esempio, gli stencil sono arrivati tardissimo. I muri del mio paese erano puliti fino all’anno scorso. Ti rendi conto. I giovani artisti stanno cominciando ora ad alzare la testa e tessere le reti, sia mediatiche che conoscitive. Se all’artista europeo, 2-3 anni di incubazione sono sufficienti per venire alla ribalta nella scena mondiale, qui non ne bastano 5, se non 10. Il divario con chi da fuori ci viene a trovare per pittare, rimane… grande. Sono gli stessi giovani artisti locali ad invitarli; un modo un po’ reverenziale per porsi all’attenzione.
Altra cosa: il termine “scena” indicherebbe un’identità, una peculiarità, che io però non vedo. Un tempo era corretto parlare di scene, con i graffiti, 30 anni fa. Vi erano localismi e varie scuole stilistiche, che cambiavano di città in città. Oggi mi sa che è moda, sospinta da Facebook. Quando le cose diventano di moda, perdono autenticità. Io non credo che una pagina Facebook (autoreferenzialità al massimo) possa o debba definire l’esistenza di una scena. Qui in città sono nate varie band, facente capo però a una manciata di strumentisti, sempre gli stessi. Certo, ci sono alcuni nomi che fanno la differenza in Sicilia ma… infatti non li sento parlar bene della “scena locale” più del dovuto. Ne ho appena discusso di recente con un mio contatto, che viene dai graffiti. Non si capacita di come alcuni possano definire positivamente questa scena. E ride. “O sono tutti Salviniani, per cui i locals sono bravi a prescindere, o questa gente non ha Google e dunque neppure idea di cosa ci sia nel mondo”.
La polemica a riguardo i silos di Catania, per cui “non ci sono abbastanza artisti catanesi rappresentati”, la dice davvero lunga di quanto basso sia il dibattito. Ritengo che la sola ragione per enfatizzare oltre misura questa realtà isolana sia una sola, si chiama “marketing”: mercato, propaganda. Dì che qui ci sono bravi artisti, fai rete, parla al plurale, includiti e passa dentro con la grande onda. Ripeti questo gioco persuasivo tante volte su Facebook, fin quando qualcuno ci crederà. Qui la gente è assai vanitosa e forse troppo orgogliosa. Gattopardesca. Anni fa mi sono fatto un mazzo enorme per la città e per “la scena”, fino a perdere ogni entusiasmo. Forse è normale.
Sono stato un grande promotore, facevo rete e proselitismo. Ho portato all’attenzione dei media le istallazioni e gli interventi urbani, quindi oltre il muro. Ho ispirato e motivato diversi artisti, per i quali sono comunque un riferimento costante, o lo sono stato in un determinato momento del loro percorso. Forse è servito. Oggi, mi piacerebbe poter dire che qui nel mio campo siamo avantissimo… ma dai, ti mentirei!
Cosa ti auguri per il futuro artistico della tua regione? Quali sono i punti di forza e i disagi maggiori?
Io non rappresento la mia regione; io rappresento il mio genere! Sono sempre in contatto con gente anche lontana, per il nostro bene comune. Sono nato qui, poi sono andato via, adesso sono nuovamente qui, domani andrò via ancora. Non ne farei una questione di radici e di territorio. Non siamo alberi, siamo liberi. I migliori artisti che conosco non hanno barriere o bandiere. Nessun artista propriamente detto dovrebbe rappresentare una città specifica. L’arte è cosmopolita, quando si è locali si decade spesso nel folklore.
I punti di forza sono l’esaltazione di evidenti disagi. C’è abbandono, le botteghe costano poco, manca lo Stato, c’è poca concorrenza, siamo all’anno zero. E quale miglior scenario quindi! Cavolo, c’è carta bianca!
Cosa posso augurare alla Sicilia? Io auguro sorti migliori all’Europa e all’Africa; se tutto andrà bene, per la Sicilia andrà meglio.
E cosa ne pensi della scena nazionale di arte urbana?
l’Italia si difende bene, per fortuna. Abbiamo Blu, e mille seguaci di Blu. Abbiamo alcuni tra i più influenti artisti globali. Ribadisco che non mi occupo di muralismo e per quello che mi riguarda, i migliori esempi che io possa ammirare/seguire/sentire vicino, sono all’estero, specie in Europa centrale. E difatti, le attenzioni al mio operato sono venute finora da siti/blog principalmente tedeschi o francesi.
Quale direzioni speri prenda? E in generale cosa consiglieresti ai giovani artisti di oggi?
Nuovamente, non mi rivolgo alla street art di chi fa illustrazioni fighe sui muri. Gente brava a disegnare Dio li aiuti. Per quello che concerne noi degli interventi, spero che aumentino i riflettori e che si possa trovare sempre più spazio nelle varie manifestazioni urbane in giro per il continente. Io prevedo che, dopo un’iniziale forte e polemico distacco, la street art convergerà nuovamente verso l’arte, fino a fondersi. In verità è già così. Alcuni polemizzano ancora contro l’arte ma in verità, è più una critica rivolta al sistema economico e speculativo.
Se fino a 10 anni fa bastava qualsiasi cosa in strada per farci dire “wow”, oggi non è abbastanza. Non basta essere bravi con la bomboletta o il pennello. Non basta solo urlare più forte. Serve molto altro, come la testa: serve studiare. I giovani dovrebbero documentarsi il più possibile: se ami gli stencil o i graffiti, non puoi non sapere che cosa diavolo stai facendo e da dove viene tutto ciò. La vera sfida comincia quando il tuo nome inizia a girare. Consiglio di curare un proprio portfolio, lavorare per quello, anche in sordina. E, importante, non basarsi troppo su Facebook: alcuni tra i nomi più determinanti sono introvabili sui social.
Non rimarranno diecimila nomi nella storia, ma solo i più distintivi verranno ricordati. Ci si ricorderà di chi ha introdotto novità: tu, che novità hai introdotto? Pochi tracciano le scie, tanti le seguono.
Con quale artista, italiano o straniero, sogni di collaborare?
Non è un sogno che ho davvero perseguito. Avrei potuto già collaborare con nomi riguardevoli ma, sono fatalista. Se capita bene, altrimenti è ok anche fare parte dello stesso progetto, rimanendo indipendenti nel lavoro. Sai cosa mi chiedo spesso? Ci sarebbe bisogno di collaborazione a livello teorico, di un buon curatore; un esperto. Ne abbiamo pochi. Comunque, voglio risponderti: farei un lavoro a quattro mani con chiunque si è mostrato attento alla mia sensibilità e visione, senza tirarsela. Oggi mi va di citare R1, Morfai, Bifido, Lor K, Dos Jotas. La lista sarebbe più lunga, ma non voglio creare imbarazzo! 🙂
Maggiori informazioni: Sito Ufficiale Vlady Art e Pagina Facebook