I social network hanno avuto un ruolo importantissimo per la crescita di Urban Lives. Non solo a livello di contenuti ma anche sul piano relazionale.
Sono davvero tanti gli artisti, i fotografi, le associazioni o i semplici appassionati di street art che mi hanno scritto per un complimento, una richiesta o una proposta.
Uno di questi è stato Andrea Cherico, appena un mese fa. Mi dice di aver seguito virtualmente il mio viaggio-reportage di settembre “Urban Lives on The Road” e di essere un fotografo appassionato di luoghi abbandonati. Ci confrontiamo a lungo sull’argomento e ci troviamo d’accordo sulle tematiche da me affrontate nell’articolo su Outdoor: “Sotto strati di muffa e di polvere, sotto l’erba cresciuta a dismisura, sotto cocci di vetro, foto sbiadite, vestiti strappati e consumati, emergono le storie di chi vi ha vissuto, pezzi di vite da ricomporre. E, non ultima, una riflessione generale sul nostro passato e sul nostro presente.
Gli interrogativi sulla sorte di questi spazi abbandonati mi accompagnano da diversi mesi: è giusto intervenire e ridare nuova vita a questi spazi? Se sì, come si può rispettarne la storia, mantenerne viva la memoria?”
La mia personale risposta al quesito è: giusto riattivare e riconvertire questi spazi, dando loro una seconda vita, sociale, artistica o culturale che sia, ma giusto anche in alcuni casi rispettarne lo stato di abbandono. Lasciare che sia la natura a volte a deciderne le sorti… fino al probabilmente inevitabile intervento dell’uomo. Molti non saranno d’accordo ma poco importa. Sono tanti gli artisti in Italia e all’estero che vanno a caccia di posti abbandonati. E, quasi sempre, le opere che realizzano sono una conseguenza dell’emozione vissuta, a volte sono sperimentali, diverse dal loro consueto percorso artistico, spesso cariche di significati e adattate alla struttura e all’architettura del luogo.
È qualcosa di straordinario, un percorso artistico parallelo che non troverete mai in una galleria.
Street art nei posti abbandonati e la nascita di un progetto
Quando scopro che anche io seguivo da tempo il bel progetto fotografico di Andrea, ovvero Lost in the DAYS, scatta l’idea: organizzare un viaggio in Lombardia in cui la sua conoscenza di posti abbandonati incontri la mia conoscenza di street art.
In pochissimo tempo il progetto “Street art nei posti abbandonati” prende vita. Mentre lui pianifica le tappe io contatto una trentina di artisti del nord Italia, tutti altrettanto sensibili e rispettosi nei confronti di spazi dismessi. Nessun obiettivo particolare ci spinge a pianificare questo viaggio se non, come sempre, la voglia di stare insieme e di raccontare e documentare la street art, quella vera: quella che nasce dal basso, a volte con mezzi e materiali improvvisati. Quella che spinge a esplorare e ridare vita a luoghi urbani abbandonati, cupi o periferici. Quella di persone semplici, comuni, che girano sempre con sketchbook alla mano e un’asta e rullo sempre in macchina (perché “non si sa mai”) e una gran voglia di confrontarsi e passare qualche ora in allegria a dipingere, senza consegne, senza orologio, senza la paura di sbagliare o di intraprendere nuove tecniche o nuovi percorsi.
Com’è consuetudine nei miei viaggi con artisti il percorso subisce innumerevoli modifiche e si alternano conferme e smentite a livello di presenze. Quello che si percepisce però, fin da subito, è un entusiasmo generale, un discreto e doveroso passaparola e la sensazione di essere artefici di un progetto unico, e spero straordinario, in Italia. Poco prima di partire il cervello mi fuma, e anche il telefono: inizio a pensare alla tappa 2 e 3 e alla mostra fotografica (speriamo più di una) che voglio realizzare alla conclusione del viaggio. E mi sembra incredibile che tutto questo sia accaduto nel giro di sole 2-3 settimane.
Il viaggio: preparativi e “line up” definitiva
Da brava romana, abituata agli pseudo-inverni romani che ormai di invernale hanno ben poco, la prima cosa che faccio è chiamare almeno 5 artisti per capire a quanto freddo vado incontro. Le rassicurazioni non mi bastano, quindi mi preparo al peggio, compro tutto quello che mi serve (scarpe imbottite in primis) e annuncio finalmente sui social l’imminente viaggio.
Nel frattempo viene “arruolato” il terzo elemento fisso del viaggio, ovvero Riky Boy, con cui poco tempo fa ho trascorso una bella giornata in una fabbrica abbandonata di Roma, e in cui scopro una grandissima voglia di confronto, dialogo, viaggio, ascolto e scoperta. Il perfetto compagno di viaggio, così come Andrea, con la sua voglia di condividere luoghi e storie, e di imparare il più possibile da questa esperienza.
Degli artisti confermano Giorgio Bartocci, incontrato appena una settimana prima alla mostra Terra Guasta a Firenze, Zolta e Andreav, intervistati ma non ancora incontrati, Il Baro e Andrea Casciu, già coinvolti a settembre nella pittata di gruppo a Bergamo in un’ex fabbrica abbandonata, El Euro conosciuto a Torino, Pepe Coibermuda, conosciuto alle Reggiane un anno fa, e infine da Chieri Orma Il Viandante, che ho avuto il piacere di conoscere all’evento di street art e graffiti Mistura a Torino Stura a giugno. Si aggiungono poi Nikka di Parma, anche lui coinvolto nel viaggio di settembre per la tappa all’ex Manicomio di Colorno, e il videomaker Pier Luis Vona. Insomma, un bel gruppo variegato di persone, provenienze diverse, stili diversi ma tutti accomunati dalla passione per i posti abbandonati e dalla voglia di dipingere insieme e soprire nuove situazioni, nuove realtà. Seppur dispiaciuta per i tanti assenti lontani, che spero di coinvolgere in future tappe, parto con la certezza che comunque vada il viaggio da un punto di vista climatico e organizzativo, sarà un’esperienza umanamente e artisticamente bellissima, da raccontare.
Giorno 1, il Castello di Zak: io, Andrea, Riky Boy + Andreav, Giorgio Bartocci e Zolta
La prima tappa del viaggio, diciamo più che altro il preludio al viaggio per posti abbandonati, è il Castello di Zak, che di abbandonato non ha proprio niente. Anzi. L’accogliente casa di Zak, in cui il calore umano scalda più del vino e della legna nel camino, è il primo importante momento di incontro tra persone, non solo artisti. Una grande tavolata di storie, di aneddoti, di risate.
Tornare al Castello di Zak, a distanza di quasi un anno dalla prima visita in compagnia dei Canemorto, è stata un’emozione grandissima: la stessa magia, gli stessi sorrisi, a cambiare sono solo i muri, ancora più belli dopo un anno di vissuto, di colore, di street art.
La sensibilità e la profondità di Zak sono un dono per chiunque lo circondi: così accogliente da farci sentire a casa, regalandoci prima uno straordinario cous cous cucinato da lui, poi la sua emozione e le sue poesie, e infine i suoi muri, per gli artisti da me portati Zolta e Giorgio Bartocci, e per quelli assidui frequentatori del castello, ovvero Riky Boy e Andreav.
Un momento bellissimo, quasi da jam, documentato da Andrea e osservato con ammirazione dallo zio Zak.
Per me per almeno 3 ore quel giorno il tempo si è fermato. Ho scordato tutto, documentato pochissimo. Ho vissuto il momento, assorbendo tutta la magia di quello che mi circondava. Ho avvertito il calore non solo dei presenti ma anche dei tanti artisti e delle tante persone che sono passati di lì. Ho osservato lo sguardo commosso dello Zio Zak, ho avvertito la gioia di Bartocci e Zolta, anch’essi grati per quel momento di incontro, non solo arte condivisa.
Non sono mancate alla fine, naturalmente, anche delle belle chiacchierate con loro su graffiti e street art, proseguite fino al tramonto (bellissimo vederli finalmente dipingere di persona), e una suggestiva visita del castello a lume di candela.
Ma al di là del mio punto di vista, nessuno può descrivere il Castello meglio dello Zio:
“Entrare nel castello è come entrare in una fabbrica obsoleta… col tempo bloccato tra rabbia e soddisfazione… precipitata nelle vertigine di un buco nero… da quel buio è uscita così tanta luce da attraversare qualsiasi mente”.
La luce ha investito e attraversato tutti noi presenti quel giorno, e per questo, su tutti, ringrazio Zak e Riky Boy. Lascio anche stavolta un pezzo di cuore al castello con la speranza di tornare presto”.
Giorno 2, primo posto abbandonato: io, Andrea, Riky Boy + El Euro, Il Baro, Andrea Casciu
Sveglia presto la mattina per me, Andrea e Riky Boy: sosta al supermercato per vino e provviste. Perché, ricordatevi sempre, che se entrate in uno spazio abbandonato dovete essere pronti a ogni evenienza, lontani come sarete dalla civiltà e soprattutto persi in uno spazio temporale che vi catturerà per ore senza che ve ne rendiate conto. Tutto questo per dirvi che noi, come dei pirla, abbiamo comprato il vino ma abbiamo dimenticato il cavatappi 😀
(grazie ancora ad Andrea Casciu per averci salvato la bevuta con il suo coltellino!)
Dopo la sosta, la prima di lunghe chiacchierate in macchina sulla street art, sul viaggio e mille altre cose, io Andrea e Riky arriviamo sul posto alle 9.30.
Una volta entrati insieme a El Euro e Il Baro ci troviamo proiettati in uno scenario surreale: una interminabile fila di padiglioni o scheletri di padiglioni, in cui il tempo e la natura hanno preso il sopravvento, tra ruggine e vegetazione selvaggia. Pochissime le traccie della memoria del luogo o del passaggio dell’uomo, è la natura a regnare sovrana. E il silenzio.
Andrea ci conduce nel padiglione da lui prescelto per la “pittata” del viaggio e lì, dopo un accurato sopralluogo, i tre artisti si collocano davanti al loro muro prescelto. Quattro artisti e tante tecniche: asta e rullo, bombolette spray e poster.
In un clima allegro, di chiacchierate spensierate, domande, confronti, condivisioni (tavoletta di cioccolato inclusa), la mattinata vola via. El Euro nel suo angoletto con le bombolette, che semina poi i suoi “personaggini” in giro per il padiglione, Il Baro che in sole 3 ore fa due pezzoni asta e rullo (un po’ colpa dell’incontro di settembre con Collettivo FX, diciamolo!) e attacca un poster mentre Riky Boy porta avanti la sua bella serie di “zampe, costellazioni e colature”.
Con El Euro mi ritrovo a fare una lunga chiacchierata sulla vita di campagna ma soprattutto sulla sua passione per posti abbandonati ma inesplorati. Parlando con Il Baro scopro invece alcuni suoi progetti artistici e non solo che sta portando avanti a Bergamo: l’arte di strada che sposa progetti sociali e non solo. A far parte di un suo progetto anche il poster, un po’ strappato, che ha portato con sé quel giorno: il ritratto di un uomo, parte di una mostra fotografica sul tema della gratitudine. Magari è un caso ma trovo davvero bello il suo simbolo di gratitudine attaccato in un posto ricco di memoria e tanto suggestivo.
A ora di pranzo Il Baro deve scappar via per impegni e da il cambio ad Andrea Casciu, venuto apposta da Bologna (il che è davvero ammirevole).
Casciu sceglie un muro incredibilmente grande e incredibilmente bello, un po’ nascosto ma immerso nella natura, da cui si lascia ispirare. Realizza infatti con asta e rullo un personaggio che va a coprire tutta la parete, i cui capelli costituiscono il firmamento: il nome dell’opera è The Devourer of Stars.
Tra una chiacchierata, un video, una foto e un sorso di vino io e Andrea decidiamo di esplorare anche altri padiglioni: rovi dappertutto, travi penzolanti, buchi nei pavimenti e un fascino decadente incredibile. Mi riempo gli occhi del verde brillante dell’erba che spicca ovunque tra macerie e ruggine. Nel frattempo Andrea Casciu, mangiandosi le mani per la mancanza di pittura bianca per dare risalto alle stelle, ultima il suo pezzo e Riky Boy finisce, soddisfatto, il suo secondo murone.
Ultimo giro per altri padiglioni tutti insieme e poi si parte per una doverosa tappa alcolica in un gigantesco bar di un paesino della Brianza, circondati da famiglie e anziani che ci osservano, mentre beviamo birra, chiacchieriamo di street art e ci scaldiamo vicino al camino.
Tiriamo le somme della giornata e siamo tutti al settimo cielo.
(To be continued…)
Foto credits: Ivana De Innocentis e Andrea Cherico aka LOST in the DAYS
RIUSCITE A ELENCARE GLI INDIRIZZI DEI LUOGHI ABBANDONATI?