Non è stato facile incontrare Chekos’art, l’artista pugliese ormai lanciato nell’Olimpo della street art, spesso in giro per il mondo. Sono riuscito ad intercettarlo durante uno dei suoi ultimi lavori in Italia, a Roma. Così, dopo una corte durata davvero tanto gli ho rivolto alcune domande, con l’intento di conoscerlo meglio, approfondendo i suoi argomenti, le sue tecniche, il suo pensiero.
Qual buon vento ti riporta a Roma, peraltro subito dopo il tuo inpotervento al Festival di Arte di Strada “Gianmaria Volontè” di Primavalle?
A Roma mi porta GRAArt, un progetto sul Grande Raccordo Anulare. Un’iniziativa promossa dall’associazione MURO ed ANAS a cui partecipo insieme a altri 9 artisti italiani ed internazionali.
Come hai sviluppato la tua passione per l’arte? Quale è stata la scintilla che ti ha avvicinato a questo mondo?
Sono un autodidatta, ho iniziato quando avevo 15 anni, abitavo a Milano e andando a scuola guardavo le prime tag e le prime scritte in giro per la città. Da lì è venuta una passione fortissima che mi ha molto condizionato durante i primi anni. Adesso sono un po’ più libero da questa influenza, ma a quei tempi disegnavo, facevo lettering, ero un writer, parliamo del lontano ’95.
Hai mosso i primi passi fondando il movimento South Italy Street Art, cosa ha significato per te appartenere ad un gruppo, portare avanti un pensiero comune?
Dopo gli anni di Milano in cui ho fatto le mie esperienze lavorative e artistiche sono arrivato al punto di voler tornare giù, dove sono nato, a Lecce. Ho deciso di creare South Italy Street Art nel 2009 insieme ad altri artisti fra cui Stencil Noire e Mr. P. perché venivo da un ambiente milanese che non era mai esistito a Lecce e che ho pensato di poter ricreare nella mia città. Ho pensato a questa associazione come a una piattaforma, un gruppo informale grazie al quale poter ospitare artisti ed essere presenti nel circuito nazionale e internazionale della street art.
Basare il lavoro tuo e del movimento al sud è stato un punto di forza oppure vi ha messo di fronte particolari ostacoli o problematiche?
Street Art South Italy è stata importante perché ha dato il via a tutto il movimento che si è poi creato a Lecce e al Sud Italia con riflessi anche a livello internazionale. Noi siamo una realtà autentica, forte, che dalla piccola provincia è arrivata a dire la sua anche fuori dall’Italia. Noi siamo presenti, pur con alcune sofferenze, ma restiamo sul campo e siamo riconosciuti come ambasciatori del Sud Italia nel panorama della street art.
Pensi che l’Italia possa rappresentare un po’ il “Sud d’Europa” sulla cultura della street art?
Il Sud si muove però, come la storia ci ha insegnato in tutti i sensi, il ord Italia e il resto d’Europa sono sempre stati più emancipati. Parlando nello specifico del nostro settore è facile capire come ci siano molti più murales al nord Italia rispetto al sud. Ciò avviene per via di una mentalità e di una gestione delle risorse diverse. Noi vinciamo sul territorio però, perché poi in estate dal nord vengono tutti qua, e trovano la nostra rilettura degli ambienti urbani, inserita in uno scenario come il nostro.
Attualmente ti muovi intervenendo su muri grandi, da protagonista, ma hai vissuto anche tu un periodo di sano “vandalismo”?
Certo che ho vissuto un sano vandalismo, vivo ancora i miei momenti di vandalismo. Esco e sono sempre presente sulla strada, non lascio mai la strada. I muri grandi ormai sono una forma d’espressione che mi permette di muovermi al meglio, però il vandalismo esiste e continuerà ad esistere in me perché lo vedo come una forma di libertà, una voce che si manifesta senza filtri.
Il tuo primo murales in ordine di tempo ed il tuo preferito in assoluto fra quelli realizzati?
Il mio primo pezzo è stato nel ’95, non lo ricordo ma era una scritta e la riuscita sicuramente non fu delle migliori. Però i primi murales con un po’ di spessore artistico nascono nel 2010. Uno dei lavori più importanti per me è quello fatto in Polonia, un murales antirazzista. Ho realizzato questo grande muro dopo che alcuni polacchi hanno incendiato la casa di un immigrato indiano.
Parlaci di questa esperienza.
In questa occasione ho avuto la scorta, durante le mie giornate di lavoro avevo l’indiscreta compagnia di gruppi di Nazi e di Nazionalisti polacchi che mi insultavano. Per me è stata una vittoria riuscire a portare a termine l’opera e conoscere il ragazzo vittima del brutto episodio. Fra i miei lavori lo reputo il più importante perché la Polonia è un paese molto nazionalista, basti pensare che non tutti i giornali hanno parlato dell’opera e che il movimento stesso della street art polacca non vede questo pezzo come degno di farne parte. Lì si usano altri stili, gli artisti non sempre hanno un messaggio da trasmettere e realizzano opere più che altro astratte o comunque meno chiare e dirette. Io invece ho realizzato il primo murales esplicitamente antirazzista e ne sono molto orgoglioso.
Oggi sei uno street artist a tempo pieno, ma in che momento hai capito che quella che era iniziata come una passione poteva diventare una reale professione per te, un modo per guadagnarti da vivere?
Ho sempre creduto nelle cose che facevo ed ho sempre pensato che volere è potere. Se ti spacchi il culo e credi in una cosa, con tutti i sacrifici e i dolori, ce la fai. Per me è stata una grande lotta ed è una vittoria aver raggiunto questo obiettivo. Ti dirò, è iniziato tutto perché sono tornato a Lecce da Milano, qui aprendo un’associazione insieme a mio fratello e altri amici non sapevo esattamente cosa fare. L’unica cosa che sapevo fare erano i murales quindi mi sono buttato in questo. Per anni ho promosso la mia attività a mie spese, cercavo i muri e mi impegnavo a portare avanti il movimento di South Italy Street Art. Nel tempo si è innescato un meccanismo che oggi mi permette di lavorare e vivere di questo. È importante dire che sono un artista indipendente e ho basato la mia carriera su questo. Se ho dato il mio apporto in situazioni istituzionali lo ho fatto sempre mantenendo la mia libertà ed indipendenza.
Quali sono gli artisti che stimi di più, quali ti hanno ispirato?
Di artisti che mi piacciono ce ne sono tanti, ognuno ha il suo percorso, ognuno il suo stile e la sua espressione. Non ho mai seguito un particolare artista, ho sempre cercato di essere quello che sono perché, anche sbagliando, a volte, ho preferito crearmi una strada tutta mia. Ci sono grandi artisti, li ho sempre osservati perché è giusto farlo con tutti, ma la mia espressività è venuta fuori solo da me. L’artista che stimo di più a livello mondiale sotto l’aspetto artistico e filosofico è Blu, per me è il migliore al mondo, molto meglio di altri più in vista.
Una riflessione sui soggetti protagonisti delle tue opere: parli di emarginazione, tolleranza, futuro, ritraendo personaggi simbolici del passato.
Io lavoro col passato, per riportarlo nel presente. Cerco di prendere gli insegnamenti di grandi personaggi e grandi autori per riportarli al contemporaneo, ma anche al futuro, rivalutandoli e dandogli una nuova veste con la mia tecnica. Nello stesso tempo cerco di dare dei significati che abbiano un valore sociale, antirazzista, di tolleranza, lotta. Non vedo i murales in maniera passiva come una semplice espressione personale, ma, anzi, ribalto il concetto portandolo a un muralismo come è nel Sud America, un muralismo sociale che racconti chi siamo, cosa vogliamo e in che modo vogliamo combattere per cambiare le cose.
Uso i murales per dire ciò che penso, per dar fastidio delle volte, ma sempre per raccontare la nostra storia, il nostro presente e il nostro futuro.
Come nasce una tua opera? Quali sono i passaggi che portano ciò che hai immaginato su muro?
Dipende dal luogo in cui intervengo. Io studio la città, studio il luogo, le persone, penso a tutto ciò che le riguarda. Cerco di capire con chi mi sto relazionando, cerco di trovare la soluzione migliore, un compromesso fra il dire le cose con forza valorizzando il contenuto dell’opera e il tener sempre presente l’aspetto estetico che è comunque importante.
Come vivi il rapporto con gli altri artisti?
Credo che molti artisti debbano smetterla di criticare gli altri per invidia, ma cercare la propria strada e trovarla, non c’è bisogno di rendersi più forti parlando degli altri. Questi purtroppo sono discorsi individualisti, ma quando si parla di arte, di sociale e del mondo non ci si può rinchiudere nell’ego di se stessi. Io non mi sono mai sentito superiore a nessuno, non voglio essere al centro dell’attenzione, meno mi vedono e meglio è. Certamente non mi nascondo, mi piace mostrare il mio lavoro, lotto quotidianamente a testa alta, ma mi calo nelle situazioni lasciando il mio ego da parte.
Ti sei imposto nel panorama della street art anche grazie ad una tecnica del tutto personale.
Mah, imposto nel panorama della street art non saprei… Io faccio semplicemente ciò che mi piace fare. Ho sempre pensato che abbiamo una piccola vita e che bisogna giocarsi al meglio le proprie occasioni. Non mi piace lamentarmi o screditare gli altri artisti, cerco di fare la mia strada, lottare per ottenere le mie risposte senza vivere una competizione ma lavorando sempre e solo su me stesso.
Unisci l’astrattismo e il figurativo con un’evoluzione di quelli che erano i più primordiali stencil. Riesci a far questo su larga scala, ma come si fa a rimanere sempre al passo con se stessi?
Bisogna sempre stare al passo in un certo senso, la vita cambia di anno in anno, di momento in momento. Il mondo cambia totalmente ogni decennio quindi o comunichi con la gente rapportandoti al contemporaneo oppure sei tagliato fuori, ma questo è naturale in tutti i lavori e soprattutto in quelli artistici. Io cerco me stesso, creo una linea che sia mia e vado avanti costruendo quello che meglio so fare. Sono uno sperimentatore, chi vede il mio percorso può notare che di anno in anno ho trasformato il mio stile, non voglio mai fermarmi e essere sempre nella ricerca che sono sicuro continuerà a farmi crescere e a farmi vedere e raccontare il mondo in un certo senso.
Quale sarà il futuro di Chekos’art?
Sto lavorando per progetti in Albania, Indonesia, a Valencia, in Senegal. Forse si sta concretizzando anche un intervento che dovrò fare a Washington. In tutto ciò ci sono altre 10/15 cose più immediate e pratiche.
Sono davvero contento di aver raggiunto un livello simile, non lo avrei mai immaginato. Sono uno che viene dalla strada, dai quartieri popolari, dalla gente più alla mano e quindi arrivare ad essere chiamato per fare questi lavori è una cosa davvero importante. Auguro a tutti gli artisti di raggiungere obiettivi del genere.
Carlo Calza
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Ph. Carlo Cazla (foto cover; Chekos’art)