Intervista al writer DASTY 314, Marche

Intervista al writer “old school” DASTY 314 delle Marche, attivo fin dal 1993: si parla delle prime graffiti jam in Italia, dell’evoluzione del writing, della sua storia personale e molto altro ancora

Più di un anno fa, grazie ai social network, ho avuto la possibilità di iniziare una bella chiacchierata con Dasty, writer di Senigallia (Ancona). Non abbiamo mai avuto la possibilità di incontrarci di persona, ma abbiamo parlato, qua e là, del writing e delle sue esperienze. Soprattutto abbiamo parlato a lungo degli anni ’90 e delle prime graffiti jam in Italia, a cui lui ha avuto il piacere di partecipare. Nell’ottica di investigare su quegli anni e di raccogliere aneddoti e testimonianze dirette, ringrazio Dusty per questa intervista e per aver condiviso con me tante informazioni e il ricordo di tanti momenti significativi della sua vita da writer.

Quando e come hai scoperto i graffiti?  

I graffiti, o meglio, il writing l’ho scoperto grazie ad una mia altra grande passione, ovvero lo stadio. Sin dal 1989 frequento la Curva nord Ancona, prima al vecchio stadio Dorico poi all’attuale impianto che si chiama Stadio del Conero. Fu proprio quando inaugurarono il nuovo stadio che vidi per la prima volta dei pezzi su muro, l’anno era il 1993. Ne fui subito folgorato.

Cosa ti manca di quei tempi?

La fotta che aveva la gente all’epoca, era tutto visto come una cosa serissima e non era affatto semplice farne parte. Non c’era internet e inevitabilmente dovevi e cercavi di conoscere qualcuno che aveva la tua stessa passione. Passione che avevamo in pochi.

Vecchi spray e cap a confronto con i nuovi, cosa ne pensi della loro evoluzione?

I vecchi spray (talken, sparvar sono quelli che ho usato agli inizi) li adoro e già dal loro odore sanno di qualcosa di intenso che non potrò mai scordare. I nuovi spray sono eccezionali e aiutano molto per dipingere. Per quanto riguarda i caps penso di essere uno dei meno esperti in materia perché dipingo sempre con i caps originali. Ci tengo molto a dire che per anni ho sempre e solo usato il new york soft cap con le happy color delle Saratoga. Non avevo una lira e una signora che aveva una ferramenta in un paesino ce le metteva a 2500 lire l’una. Poi eravamo soliti rubare le tolle di biancone nei cantieri e dipingevamo così. Se non avessi avuto questa situazione non penso che sarei arrivato ad avere uno stile personale.

Cosa ne pensi dell’evoluzione del writing in Italia a partire dai primi anni ’90?

Penso che si è passati dal cercare di avere uno stile originale al cercare di avere uno stile che va di moda. Da poco sono su Instagram e da un lato sono affascinato da quello che i writer fanno perché entri in contatto con gente di tutto il mondo e vedi cose incredibili. Però noto a malincuore che c’è poca originalità rispetto al passato. Vedo pezzi perfetti ma che sono tutti uguali. Prima magari il pezzo aveva qualcosa di sbagliato ma era più potente perché era originale.

Hai partecipato ad alcune delle prime jam in Italia, cosa ti è rimasto impresso di quelle esperienze? Qualche aneddoto interessante o divertente in particolare?

Ho avuto la fortuna e l’occasione di partecipare ad alcune delle jam storiche del movimento in italia. La prima in assoluto fu Tinte Forti al muro storico del Cavallazzi a Bologna nel ’94 (ci andai con un gruppo di amici di Senigallia tra i quali c’erano anche Fabri Fibra e Dj Lato). Poi Indelebile jam a Rimini sempre nel ’94 e lì… beh, che dire, fu pazzesco, vedere gente come Mode2 e Delta fu spaziale. La jam a cui più sono legato fu Juice jam nel 1995, non quella del 1996 dove venne giù ad Ancona tutta la scena italiana del writing con più di 3000 presenze. Al Juice del ’95, terrorizzato, presi la decisione di dipingere e ancora ricordo l’emozione. La scena era talmente undergroung che io sapevo solo tramite un mio amico che c’era sta jam, ma non sapevo neanche in che quartiere fosse. Ero minorenne e ci andai col bus partendo dal mio paesino con gli spray. Tornai la sera facendo autostop.

Hai sempre fatto parte di una crew?

Ho iniziato come cane sciolto, da solo, senza conoscere nessuno. La mia fortuna fu il liceo a Senigallia dove conobbi gli amici che ancora oggi, dopo 30 anni, frequento. La mia prima crew fu la Tmc (the massagroni crew), poi nel 2000 entrai a far parte della Snc (stappo nove cyloom). Da pochi anni ho fondato una crew che si chiama Icas (io credo ai sasquatch) dove non ci sono solo writer ma anche altri devastati mentali.

Qual è stata la tua evoluzione come writer e come ti vivi il writing oggi?

Non sono mai stato un bomber, venendo da un paesino di 3000 abitanti non mi ha mai ispirato troppo fare solo tags (che ritengo comunque la parte più figa del writing) o throw up. Io sono sempre stato un wild styler e ancora oggi credo che il writing per me è il writing che c’era a Milano nei primi anni ’90 (pwd, ckc, tka).

Quali sono stati i tuoi punti di riferimento quando hai iniziato e quali sono i tuoi writer preferiti oggi?

Come ho detto prima tutta la scuola di Milano che ha fatto storia e domina ancora nel tempo. Oggi non so darti una risposta.

Cosa ne pensi dell’astrattismo del post-graffitismo?

Io purtroppo ho delle carenze in merito a questi termini, nel senso che secondo me non esiste un post graffittismo. Per quello che riguarda me, sono sempre immerso nel mondo del writing e quello che faccio lo ritengo sempre e solo writing. Non mi ha mai interessato la terminologia. Però è importante sottolineare che la terminologia graffiti è alquanto riduttiva per parlare del movimento.

Un sogno che da writer sei riuscito a realizzare e un altro rimasto nel cassetto?

Sono tante le cose che mi ha dato il writing, ma la cosa più bella sono le persone folli come me che ho conosciuto in tutti questi anni. Il mio sogno è quello di portare mia figlia a dipingere. Ora ha 8 mesi e penso sia ancora prematuro.

Cosa ne pensi della tua scena locale?

Un mio lato negativo è quello di non essermi mai troppo coinvolto nella scena locale. Ho dipinto quasi sempre con i miei soci di crew quindi non posso esprimere un giudizio sulla scena locale. Credo che comunque siamo in pochi e a me va benissimo. Non mi ha mai interessato farmi conoscere. Dipingo in un posto talmente isolato che non mi vede mai nessuno e sono contento di ciò, quello che faccio è per me e per pochi altri. Adesso sto mettendo le foto su Instagram perché ho paura che possa perdere foto dei pezzi, cosa che mi è già successa in passato.

Recentemente hai avuto modo di dipingere con alcuni writer della nuova generazione, cosa consiglieresti a chi come loro ha iniziato a dipingere da poco?

Consiglierei di documentarsi seriamente su cosa sia il writing e di amare tale passione, che non è un gioco ma una missione.

Hai da poco aperto un account Instagram, ma quanto e come pensi sia cambiato il mondo del writing dopo l’arrivo dei social network?

Secondo me non è cambiato il writing, sono cambiate le persone. Prima era molto più sentita la cosa, si studiava molto su carta e si andava su muro quando si era consapevoli di potercela fare. Oggi è tutto più immediato.

Pensi sia ancora importante documentare in qualche modo la storia del writing in Italia negli anni ’90 / inizio 2000?

È fondamentale, per fortuna gente molto più esperta di me è riuscita a far conoscere il vero writing.

E infine un consiglio per me, cosa pensi possa fare il mio progetto Urban Lives per raccontare al meglio la scena nazionale?

Sarebbe bello organizzare una jam a livello nazionale dove ci si incontra e ci si confronta. Saluti

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