Fino al 22 luglio è in mostra presso la galleria Antonio Colombo Arte Contemporanea di Milano “Di Carne, di Nulla”, la doppia mostra personale degli artisti italiani 108 e Silvia Argiolas, a cura di Luca Beatrice.
Una doppia personale è certamente una sfida grande per un curatore e per una galleria. I due artisti accostati sembrano avere poco in comune: lei dipinge figure femminili, molto aggressive eppure fragili, figlie del loro e del nostro tempo, frutto di inquietudini e contraddizioni attuali, lui, come sappiamo, è un artista astratto, che rinuncia all’immagine e all’impianto narrativo. Un lavoro diametralmente opposto a livello visivo, ma che parte da simili riflessioni sulla vita. Entrambi presentano in questa personale opere inedite.
Ed è proprio osservando, seppur, a malincuore, virtualmente, le opere di 108 che nascono delle domande, che ho il piacere di porre all’artista (che ringrazio, come sempre, per la grande disponibilità).
“Ciò che ci è distante è sempre quello che ci interessa di più”, riporta il comunicato stampa della mostra “Di carne, di nulla”: eppure un senso di inquietudine, quasi un desiderio di fuga, sembra pervadere sia i tuoi lavori che quelli di Silvia Argiolas. Quali sono le caratteristiche che senti accomunare maggiormente le vostre opere?
In qualche modo siamo entrambi degli outsiders e il nostro lavoro non va incontro ai gusti più superficiali e alle mode momentanee. Di solito in questi casi si guarda solo all’estetica, negli anni mi sono trovato a lavorare con artisti che erano molto simili a me sul piano estetico, ma poi non riuscivamo a fare un discorso. Credo che nel 2016 sia un pò banale parlare di pittura basandosi solo su canoni estetici che hanno uno o più secoli. Un’altra cosa che ci accomuna in questa mostra è la presenza evidente di un importante lato oscuro.
Con “la forma di Throllhattan”, opera realizzata sia su muro che su tela, hai dimostrato che non è un controsenso “portare la street art nei musei”: l’opera è infatti parimenti fruibile e interessante. Approfitto per chiederti per quale delle due superfici era stata inizialmente progettata e perché.
È esattamente così. Da quando ho iniziato a lavorare come 108 ho sempre cercato di portare un certo tipo di ricerca su qualsiasi tipo di superficie. Non credo che l’arte debba per forza stare in un museo, ma purtroppo quando si usano spazi pubblici molte volte si finisce con “riqualificazione”, illustrazione, politica che non con l’arte hanno poco a che fare. Quando si cerca di accontentare tutti si possono fare solo cose mediocri. Io penso di fare il massimo tenendo presente il contesto e cercando di trarne la massima soddisfazione, ma questo mi ha sempre creato un pò di problemi. Quando ho iniziato l’idea non era quella di portare la “street art” nei musei (non si chiamava nemmeno così) ma di portare un certo tipo di arte fuori dai musei, ma purtroppo c’è molta ignoranza. Per quanto riguarda la “Forma di Trollhattan” è partita da un’idea su carta, si è sviluppata su parete in Svezia e poi ho provato a farne un modello molto simile con alcune variazioni dovute al contesto. Per la grande differenza è data dagli strumenti e dal fatto che su parete il contesto urbano conta per 50% alla fine del lavoro. Lavorare su tela è molto più difficile.
Hai affermato che “Una forma nera nei miei lavori può apparire sia come la rappresentazione di una forma fisica sconosciuta, sia come un buco, un passaggio che porta a una destinazione sconosciuta”: tu da cosa cerchi di fuggire maggiormente? E dove vorresti o tenti di fuggire?
Ogni essere umano, forse anche altri animali, ma non possiamo saperlo, hanno bisogno di vie di fuga dalla realtà. Nei millenni per questo sono nate religioni e vie spirituali, si sono utilizzati alcol e altri tipi di droghe, trance di vario genere meditazione, politica, sport, arte, ecc… Se guardiamo la vita su questo pianeta da un punto di vista puramente materiale essa non ha alcun senso e quello da cui tutti cerchiamo di fuggire, anche se molti non se ne rendono conto, è questo. Per sapere dove volere fuggire bisognerebbe credere in qualche tipo di religione rivelata, per certi versi invidio chi ci riesce. Trascendere la realtà, perdermi nel vuoto, avere certe piccole pause, questo è quello di cui ho bisogno e magari un giorno smettere di reincarnarmi.
Tra le opere esposte una grande macchia blu, accostata a una forma rigida rossa: che sensazioni speri di provocare nel fruitore dell’opera con questo accostamento di forme regolari e irregolari? Come mai il blu al posto del consueto nero?
Non mi interessa provocare qualcosa nei fruitori dei miei lavori. Cerco solo di fare qualche cosa che soddisfi me stesso. Poi ovviamente spero che qualcuno capisca ed apprezzi, ma quello che faccio parte sempre da una mia ricerca personale ed egoistica. A vedere bene in tutti i miei lavori c’è sempre una presenza di due diverse forme collegate in qualche modo. Questo non succede solo nei lavori visuali. Può essere un elemento irrazionale in un contesto razionale o viceversa. L’uso del colore nero è dovuto da diversi fattori, uno dei quali come dicevamo sopra è quello di essere profondo e magnetico. Ho voluto sperimentare questo blu, dopo tanti anni per lo stesso motivo. Mi sono trovato molte volte a perdermi guardando il mare o il cielo e volevo vedere se funzionava. Inoltre il blu è un colore freddo aiuta a calmarsi, ad abbassare i battiti cardiaci. Il problema è che funziona solo in un ambiente perfettamente neutro e pulito come quello dell’ingresso della galleria di Antonio Colombo.
Hai dichiarato di sentirti un artista “europeo”, più che italiano, e di avvertire il peso dei problemi del sistema dell’arte in Italia. Cosa ti auguri per il futuro dell’arte italiana? In che tipo di progetti speri di essere coinvolto? E che consiglio daresti a chi, come me, cerca nel suo piccolo di supportare gli artisti italiani?
Allora prima di tutto io mi sento europeo come persona prima che un artista. Nel senso che certamente ho un rapporto particolare con il luogo in cui sono nato, a livello locale, ma non mi sento più a casa se mi trovo a Roma rispetto a quando mi trovo a Parigi o a Berlino e le mie influenze mediterranee non sono più di quelle nordiche. Forse anche perché geograficamente mi trovo un pò a metà, ma non è importante, e non vorrei essere frainteso: le mie influenze vanno al di fuori dell’Europa, penso solo cosa rappresenta per me il Giappone e l’Asia in generale. Tornando alla domanda alcuni dei problemi per un artista italiano sono simili a quelli di altre categorie, altri sono più specifici. Dal bassissimo livello di cultura medio alla disonestà dilagante. Per esperienza so che nel 90% dei casi si da per scontato che un artista americano sia più bravo di uno locale e che sia sempre quest’ultimo a copiare il primo. E’ deprimente. Poi ci sono problemi più pratici: la mancanza di qualsiasi tipo di supporto per cui se uno non è nato ricco o in una famiglia di artisti deve martirizzarsi per andare avanti. Tu stai facendo molto, non mi piace dare consigli, se proprio posso permettermi, non mi baserei sul supportare artisti italiani, ma sul supportare bravi artisti a prescindere della nazionalità.
Quali artisti contemporanei europei ammiri maggiormente? Con chi speri di poter collaborare?
Tralasciando per una volta quelli che mi hanno influenzato per arrivare dove mi trovo ora, mi sento molto fortunato perché conosco alcuni dei miei artisti preferiti, con cui ho lavorato e con cui in alcuni casi ci influenziamo a vicenda. Tra questi ci metto sicuramente Ekta, molte volte vorrei veramente essere in grado di dipingere come lui. Sempre a livello visuale in questi anni apprezzo moltissimo il lavoro di Hiroyuki Hamada, ma da sempre amo tutte le forme d’arte musica video e molto altro, sarebbe impossibile rispondere compiutamente qui. Mi piacerebbe sicuramente collaborare con qualcuno in ambito video o cinema, ma non è altro che un’idea.
Maggiori informazioni sulla mostra:
ANTONIO COLOMBO ARTE CONTEMPORANE
VIA SOLFE RINO 44 – 20121 MILANO
Sito della galleria: www.colomboarte.com
Sito ufficiale di 108
Sito ufficiale di Silvia Argiolas