E’ così che ROA ci mostra oggi il difficilissimo rapporto tra uomo e animali. I suoi animali, sempre così grandi da poter contare i peli della loro pelliccia uno ad uno, eppure, nella realtà, così piccoli da poter esser schiacciati, e sacrificati in quantità inenarrabili. Prima di metter piede nella sua “Suovetaurilia”, nome della tipica ricetta etrusco/romana che prevedeva, nell’antichità, il sacrificio a Marte dei tre animali (un maiale, un montone e un toro), impossibile non notare le decine di cartucce, quelle sì coloratissime, posizionate nelle due vetrine della Dorothy Circus Gallery, insieme ad altri arnesi di costrizione, sottomissione e morte come corde e coltelli. In un’atmosfera cupa ed inquietante, ROA ripercorre la storia di Roma attraverso gli occhi degli animali che in questa città hanno perso la loro vita. Le sue opere infatti, oltre ad essere un chiaro riferimento al dominio dell’uomo sull’animale, perpetrato già dall’età imperiale, sono immortalate su vecchi mobili, armadi e documenti, recuperati qui durante la sua permanenza. Materiali che oggi potremmo trovare nei mercatini d’antiquariato o negli scantinati di qualche antica bottega romana d’artigianato, sono diventati tele per le sue opere, talmente ben incastonate nelle originali cornici da ricordare le gabbie che da secoli recludono gli animali. Meticolosa la sua ricerca negli “scarti” degli anni ’60, e il riciclo di questi oggetti gli ha permesso di completare al meglio la sua creazione, perfezionando il già ben chiaro riferimento alla storia di Roma.
L’artista belga ha voluto dare allo spettatore la possibilità di interagire con le sue creazioni, concedendogli di toccarle e muoverle, per scoprire cosa si cela dietro lo sfruttamento. Aprendo i tanti sportelli dipinti, infatti, è possibile vedere lo scheletro dello stesso animale rappresentato all’esterno delle ante. Uno spiraglio di ottimismo trapela dalla sua scelta: l’umano non è solo il carnefice degli animali, al contrario la sua autorità può essere, senza alcuno sforzo, trasformata in benefico coraggio. Egli stesso può essere infatti il salvatore delle sue stesse vittime. Basta solo scegliere se tenere l’anta aperta oppure chiusa, serrata per sempre.
Oltre al bianco e nero tipico delle sue bestiole, quasi a voler evidenziare una vita indegna d’esser chiamata tale, l’unico colore presente è il rosso del sangue e dei muscoli del montone, rappresentato in una posizione più che sottomessa, chinato, e il suo collo, allungato anch’esso a terra, pronto per il coltello posizionato proprio sopra di lui. E poi ancora un elefante, una giraffa, un toro, un gorilla allo specchio e lupi vari. Tutti rigorosamente rappresentati con il proprio alter ego di sole ossa.
I muri di Roma nel frattempo parlano con i suoi doni. Prima la Lupa nel quartiere di Testaccio, ora un cucciolo d’orso in via Sabotino in memoria dell’uccisione di Daniza, rappresentato con il dardo che gli portò via la madre. Chissà che ROA non ci regali a breve un’altra opera, magari in memoria dei cavalli delle botticelle che muoiono ancora oggi sulle strade della capitale.
#EVENTO – ROA e il sacrificio degli animali: una realtà in bianco e nero
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