La prima volta a Palermo non si dimentica mai, se poi il motivo è legato ad un progetto di street art organizzato da giovani in gamba e con tanto da dire diventa un’esperienza davvero indimenticabile. Anche a Palermo però, come a Bologna, la street art è costretta a scontrarsi con le assurdità della legge.
INSEMINAZIONE ARTISTICA – LA MOSTRA NEL CEMENTO è il nuovo progetto artistico – culturale, pensato, voluto ed organizzato da Progeas Family (Firenze), CaravanSerai Palermo, I mangiatori di patate e Collettivo Res Publica Temporanea che, dal 9 al 22 maggio, ha ospitato più di 30 street artist nelle due città di Palermo e Catania con l’obiettivo di valorizzare il territorio e portare l’accento su problematiche politiche e sociali locali.
Sole, colori, sorrisi e collaborazione per un via vai di artisti provenienti da tutta Italia e dall’estero pronti a rendere questa piccola parte della Sicilia un’isola felice, dove interazione con gli abitanti e valorizzazione degli spazi comuni attraverso l’arte sono gli ingredienti principali.
Io e Argo, artista imolese grazie al quale ho intrapreso questo viaggio, siamo appena usciti dall’aeroporto che, sull’autostrada per Palermo, intravediamo un grande muro del Collettivo Fx. Poco dopo, un enorme pilastro: il tassista ci spiega che si tratta del monumento commemorativo della strage di Capaci; proprio lì, il 23 maggio 1992, Giovanni Falcone, sua moglie e la scorta vennero fatti saltare in aria. Conosciamo tutti la storia, ma vederla sbattuta in faccia proprio dove si è svolta fa un altro effetto. Non sappiamo ancora cosa ci aspetta, ma sentiamo che in un modo o nell’altro sarà una fortissima esperienza.
Piazza Politeama. Iris e cornetto al pistacchio e siamo pronti per avventurarci. La prima tappa è Borgo Vecchio, una sorta di favela palermitana a pochi passi dal porto. Edifici post-bellici, viuzzole e poca gente più o meno impegnata a fare qualcosa, sempre disponibile a dare informazioni con il sorriso ben in vista. Salutare qui è d’obbligo e chi non lo fa viene guardato male, come uno straniero con cattive intenzioni.
In questo quartiere, nel 2014 ha avuto luogo Borgo Vecchio Factory, un progetto di rigenerazione sociale proposto dall’organizzazione no profit PUSH, in collaborazione con l’artista Ema Jons e Per Esempio Onlus.
Aris, Alleg, Pang, Bloom, Nemo’s: tanti sono gli artisti che hanno aderito al progetto. Come bambini carichi di adrenalina passiamo da una stradina all’altra, testa all’insù senza sapere dove guardare prima. D’un tratto scorgiamo un enorme parcheggio con nomi altrettanto grandi a fare da ciliegina sulla torta in un quartiere senza neppure la farina. Corn79 e Mrfijodor hanno realizzato uno splendido tributo a Giuseppe Fava, giornalista assassinato dalla mafia, e non sono i soli: anche Zed1 e Mr Thoms scelgono questo tema caldo e di fianco al gigantesco polpo-matrioska scrivono “La mafia non esiste e la Piovra è un telefilm”. Per foto e maggiori informazioni: https://urbanlives.it/artisti/storia-street-art-sicilia-palermo-parte-1/.
Già, la mafia. Quando si parla di Sicilia, persino chi non l’ha mai vista l’accosta inevitabilmente a questa parola. Un cliché così diffuso da trasformare la Sicilia stessa in sinonimo di mafia. Le strade, per quanto difficili, sono piene di persone sorridenti e bambini che giocano, ovunque. Proprio come l’omertà e i piaceri mafiosi. Non ci vuole molto per accorgersene. Entrando nel vivo di Inseminazione Artistica, grazie alle dritte dei ragazzi di Caravanserai, tutti si rendono conto di quanto sia facile dipingere in piena libertà sotto la luce del sole cocente e gli sguardi compiaciuti e consenzienti degli abitanti. Richieste di serrande, muri, intere facciate! Sembra di essere nel paradiso degli street artist, ma non è tutto rose e fiori.
Qui la gente è molto disponibile con chi mostra interesse nei loro confronti; è disposta ad aprire le porte delle proprie case, a pagare le vernici e allo stesso tempo a riportare con i piedi per terra quelli che altrove vengono osannati come “artisti” alla falsa promessa di riuscire a togliere una macchia sul vestitino della propria figlia che non va più via.
James Boy, Pupo Bibbito, Exit Enter, K2m e Hopnn hanno letteralmente dipinto ogni centimetro del quartiere Vucciria; “Uwe ti ama” veglia dall’alto su Piazza Garraffello; Zolta, Marcho, Tutto e Niente, Argo, BDN e Danny Jorket per citarne alcuni, hanno ravvivato i vicoli del Capo; Ache77, Riky Boy, Casciu e tanti altri ancora sono i nomi che hanno contribuito a decorare gli angoli e i muri di Palermo con una tale passione ed energia.
Ho visto Exit Enter impegnarsi per dipingere il cielo più bello sulla serranda di un signore in Vucciria, amichevolmente deriso dagli altri residenti; I Mangiatori di Patate coinvolgere i bambini di Ballarò per accrescere in loro il senso di appartenenza: piccoli gesti come dipingere di azzurro le ringhiere di una fatiscente piazzetta sono sufficienti a rivalutare e rianimare gli animi della gente, subito pronta a pulire, riordinare, volersi bene.
Ho visto giovani fra artisti, fotografi e videomaker venuti appositamente alla chiamata degli organizzatori per mettersi in gioco con il cuore, dedicare il loro tempo e le proprie capacità a chi glielo concedeva.
Dipingere si, ma prima bisogna chiedere e forse quel lunedì di maggio non ci si era rivolti alla persona giusta.
IL CASO PIZZO SELLA
Il 16 maggio è una giornata tanto bella quanto assurda. Alcuni fra gli artisti giunti a Palermo per Inseminazione Artistica decidono di andare a dipingere in un luogo simbolo per Palermo. Pizzo Sella è uno splendido promontorio vista golfo di Mondello; per raggiungerlo bisogna passare davanti incantevoli spiagge bianche, già frequentate da bagnanti e turisti, per poi addentrarsi verso le alture della riserva naturale di Capo Gallo.
Una scarpinata lungo la “via Santa” ci porta in uno scenario non tanto nuovo per me, calabrese. Fra erba alta e zecche sorgono scheletri abbandonati e case incompiute volute da quel Michele Greco, detto “Il papa”, condannato all’ergastolo nel Maxiprocesso a Cosa Nostra. Ville abusive, edificate con tanta fretta quanta quella di abitarle. Alcuni ci sono riusciti e si distinguono bene, da vicino. Per gli altri invece, sono toccate la confisca e la demolizione, mai avvenuta. Infatti, dopo lunghe traversie legali a seguito del ricorso presentato da una dozzina di famiglie fra le 67 residenti, si è giunti nel 2015 ad una sentenza definitiva: restituzione degli immobili ai proprietari e risarcimento economico da parte del Comune.
Il collettivo Fare Ala conosceva bene la situazione e già nel 2013 ideò Pizzo Sella Art Village, “un nuovo spazio per tutti i tipi di famiglia”- spiega, un parco divertimenti abusivo dove tutto è possibile, anche essere portati in commissariato per aver tentato di ridare voce e dignità ad un luogo tanto fallace.
Resoconto: otto artisti e tre video operatori in caserma con avvio delle indagini per danneggiamento e l’aggravante di aver operato in un bene sequestrato.
Non è giusto- pensiamo- ed è assurdo che in tutta Palermo la polizia vada alla ricerca di un gruppetto di artisti su una montagna!
La cosa non ci va giù e il giorno dopo decidiamo di mettere per iscritto una comunicazione ufficiale con l’appoggio di alcune realtà pronte a supportarci, ma l’obiettivo è più grande. Il 16 maggio scorso gli artisti sulla “collina del disonore” erano pronti con aste e vernici a “portare l’attenzione sulle problematiche e contraddizioni che da sempre contraddistinguono lo spazio urbano”, come spiegato attraverso il comunicato. La divulgazione della notizia deve servire a “far sviluppare il proprio punto di vista per creare un dialogo costruttivo che coinvolga l’umanità intera”.
Quanto è legittimo parlare di danneggiamento tout court senza prendere in considerazione il caso specifico? Perché operare in un contesto critico in maniera consapevole è considerato criminoso, mentre sottrarre un’opera alla collettività trasformandola in un prodotto commerciale viene considerato lecito?
Ancora una volta ci si trova davanti ad una situazione controversa per la street art, confusa con il vandalismo o semplicemente volta a essere relegata una mera forma d’arte decorativa. Perché si sa, limitarsi all’estetica, a rendere bello qualcosa fallito per altri motivi va bene, purché non porti l’attenzione sul problema reale, sul mal funzionamento della politica, della società. Per le istituzioni la parola magica è “riqualificare”, da non confondere con “rigenerare”, attraverso pochi soldi e tanto colore per glissare la radice del problema. Questo modo di pensare porta una visione superficiale della street art che sta diffondendosi a vista d’occhio a discapito di artisti, messaggi e valore sociale. Insomma, abbellire sì, ma denunciare meglio di no.
Flavia De Marco
Foto credits: Antonio Curcio, Fotolibera