Artisticamente parlando conosco Zolta da tanto e ne sono rimasta sempre affascinata: diciamoci la verità, non è facile trovare artisti con uno stile così originale e riconoscibile. Ho sempre pensato che i suoi murales fossero realmente un arricchimento per le strade, in particolare per quelle di Napoli. Passeggiando per i vicoli del centro vi sarete certamente imbattuti nelle sue opere e avrete certamente notato, forse fotografato, le sue opere.
Nell’attesa di conoscerlo di persona, lo ringrazio tantissimo per aver accettato di raccontarsi per Urban Lives.
Ciao! A Napoli (e non solo) è possibile ammirare molti dei tuoi coloratissimi lavori, sparsi nei vicoli, molti nel centro storico, spesso affiancati dai lavori di altri artisti, quali Diego Miedo, Cyop&Kaf e Arp. La scelta dei luoghi in cui dipingi sembra sempre dettata da una volontà ben precisa, dal voler dare risalto a vicoli e quartieri più degradati, è così?
La scelta dei luoghi non ha delle regole precise a volte scopro un posto che mi piace e penso possa starci bene un disegno, altre volte vado in zone che so che sono più abbandonate e dipingo in base al muro migliore che trovo. In linea di massima cerco di inserire il disegno nel contesto in maniera non troppo invasiva.
Insieme ad altri artisti hai dipinto e ridato vita e colore all’ex Ospedale Psichiatrico occupato “Je so Pazz” di Napoli: come è stata questa esperienza?
Personalmente ho sempre dato molto valore alle realtà autogestite, che considero come una risorsa per le città, la struttura che hanno occupato è significativa, una struttura immensa nel quartiere Materdei, nei fatti si trattava di una prigione dove gli internati erano persone con problemi psichici che avevano commesso reati, e il luogo mantiene ancora un aspetto lugubre ma ora è a disposizione della cittadinanza grazie al lavoro dei ragazzi che lo gesticono.
Quali sono le tecniche che prediligi?
Non ho nessuna tecnica preferita in particolare, di solito dipingo con pennelli e pittura.
Cosa ne pensi dell’attuale scena di arte urbana partenopea? In che rapporti sei con gli altri artisti?
La scena urbana a Napoli è molto attiva, i ragazzi che dipingono sono tanti ma pochi quelli che lo fanno in maniera costante, è una realtà molto eterogenea e ognuno segue la sua strada e queste non sempre ci si incrociano.
Sui media si parla poco della street art a Napoli, pochissimi sono gli articoli e le interviste e poche le iniziative, quali ad esempio lo street art tour Napoli Paint Stories, che la mostrano raccontano e valorizzano. Pensi sia un bene o un male?
Napoli è un po’ lontana dai circuiti artistici nazionali di quella che ora si chiama street art o urban art, mantiene ancora un approccio distaccato verso il fenomeno, anche se negli ultimi anni se ne parla molto, è ancora qualcosa di genuino slegato dalle regole delle gallerie o del mercato dell’arte, per me è un bene.
Sei molto presente sui social: hai un account su Facebook, Flickr e Tumblr. Sei quindi favorevole all’ultilizzo dei media per la promozione della street art o del graffiti writing?
I nuovi media hanno permesso al fenomeno di espandersi e allo stesso tempo di mettere in relazione realtà totalmente differenti e distanti. I social media così come stanno modificando la nostra società hanno reso i graffiti un fenomeno virale. Prima di Facebook non avrei mai immaginato che si dipingesse in India o in Cina. Sono favorevole anche se quello che conta non è ciò che pubblichi ma ciò che fai.
Raccontaci a grandi linee la tua carriera artistica: qualcosa o qualcuno ha alimentato la tua creatività? Quando hai iniziato a dipingere?
Ho iniziato a fare graffiti verso il 2001 nella mia città natale Caserta, all’epoca i graffiti erano un fenomeno più marginale, molto legato alla cultura hip hop, non c’erano i blog ed era difficile documentarsi sugli artisti e sulle realtà esterne alla tua. Ovviamente il fenomeno era già in esplosione e lo si vedeva dalle riviste e dalle fanzine, iniziavano a diffondersi le cassette con i video di writing esitevano già rivenditori di bombolette. Poi dal 2005 ho iniziato a sperimentare cose diverse, ispirato proprio dall’abitudine dei graffitari ad accostare dei disegni alle loro lettere a mò di logo, come i pugni dei CBS di Berlino o i profili che faceva Zeal a Napoli. Piano piano mi allontanavo dai graffiti e mi avvicinavo più al disegno vero e proprio dando più spazio alla mia creatività; tuttora sono in continua evoluzione.
Nelle tue opere i protagonisti sono figure umane astratte: talvolta svuotate e rivestire, gusci vuoti, contenitori di simbolici elementi, talvolta sono composte da sinuose fasce geometriche dai bellissimi accostamenti cromatici, che sembrano rappresentare fibre, vene, muscoli. Linee forti, grandi contrasti e drammaticità accompagnano uno stile raffinato e ben riconoscibile: cosa ci puoi dire della tua arte e dei tuoi “personaggi”?
La mia arte è influenzata da molte cose, in primis l’anatomia umana ma anche dalla scultura classica greco-romana, dall’arte classica ma anche dalle avanguardie storiche, quel che cerco è un armonia delle forme e della composizione e la giusta scelta cromatica, spesso i miei personaggi sono singoli, senza uno sfondo, aperti a molteplici interpretazioni.
Alcune delle tue opere mi ricordano le famose Macchine Anatomiche, per chi non li conoscesse sono due corpi, di un uomo e di una donna, completamente scarnificati ma con l’intero sistema circolatorio integro e ben visilibile, esposti nella Cappella Sansevero, nella città di Napoli. Leggenda vuole che siamo il risultato di un esperimento compiuto nel 1700 da un anatomista. C’è un parallelismo o comunque una possibile influenza?
Sì nel 1700 a Napoli la scuola medica era molto all’avanguardia, e per favorire lo studio del corpo umano si usava realizzare dei calchi in cera delle parti del corpo o dei corpi interi come quelle di San Severo, ma ne esistono molte altre, vedi il Museo di Anatomia di Bologna o di Napoli. Il parallelismo ci sta proprio per il mio interesse verso l’anatomia medica, il sistema circolatorio può sembrare la ramificazione degli alberi e i muscoli si possono ridurre a geometrie astratte.
In quanto “napoletana nata a Roma” conosco le contraddizioni della tua città, bellissima ma caotica, e il rapporto di amore e odio vissuto da chi vi abita. Tu come la vivi? Quali pensi siano i principali difetti e i punti di forza?
Da non napoletano la città la vedo in maniera diversa dei napoletani mi è più affascinante e ne scopro sempre lati nuovi, anche se sento spesso molti napoletani che la odiano e vorrebbero scappare altrove forse perché quando vivi in un posto tutta la vita tendi a rifiutarlo e vedi solo i lati negativi, Napoli è piena di contrasti e contraddizioni i ritmi sono diversi dalle altre città e ci si abitua a cose che in altri posti sarebbero inconcepibili, ha delle regole sue che solo con il tempo puoi capire e la sua forza sta proprio nel suo spirito anarchico.
Cosa ne pensi della scena nazionale di arte urbana?
Penso che la scena nazionale sia molto interessante, sono molti gli artisti validi, anche se c’è una tendenza alla corsa al grande evento e alle gallerie grazie alla parola magica “riqualificazione” che stanno rendendo tutto un po’ finto.
Quale direzioni speri prenda? E in generale cosa consiglieresti ai giovani artisti di oggi?
Io spero che il business della street art finisca e si torni a pittare per strada, a chi inizia consiglio di impegnarsi e dedicarsi molto e di prenderla seriamente perché non è una moda e di disegnatori che ne stanno anche troppi.
Attualmente hai qualche progetto in cantiere? Come immagini il futuro del tuo percorso artistico?
Di progetti ne ho tanti ne riparleremo quando si realizzeranno, il futuro lo immagino a dipingere sempre cose nuove in posti diversi.
Maggiori informazioni:
https://www.facebook.com/zoltaman?pnref=story
https://zoltha.tumblr.com/
Foto credits: Zolta, Ivana De Innocentis