Risale a circa un mese fa questa suggestiva installazione urbana realizzata dall’artista Moallaseconda, all’interno di una fabbrica abbandonata di Prato, e in particolare nella “china town” della città. Il luogo prescelto per questo esperimento di arte urbana è un magazzino che qualche mese fa ha preso fuoco. Entrando al suo interno l’artista è rimasto colpito dalle due pareti simmetriche e dagli oggetti abbandonati: ispirato, come sempre, dal luogo e dai materiali ha deciso di unire insieme gli oggetti presenti, ponendo se stesso al centro come parte dell’opera, come “presa della corrente”. All’installazione urbana concettuale si aggiunge un nuovo componente, quello fotografico: la foto immortala l’opera realizzata con una sedia vuota al centro: l’artista vuole mostrare allo spettatore che chiunque può divenire parte dell’opera stessa, invitandolo a sedersi e a diventare parte dell’opera stessa.
Questa la spiegazione più approfondita dell’artista, per Urban Lives:
“Come si vede dai miei ultimi lavori mi sto spingendo in altre direzioni rispetto alla sola pittura murale classica, andando a creare delle sculture o installazioni, se proprio vogliamo dargli un nome.
Questo è un percorso che sto facendo per via della tendenza, che ho da sempre, nello sperimentare, cercando di andare su vie più innovative e originali, cosa che ha sempre condizionato me e il mio percorso sia nelle arti visive ma anche nella musica, cercando soluzioni via via sempre diverse, portando avanti un proprio percorso di ricerca.
Negli ultimi tempi sto sperimentando molto sull’uso della materia, anche a livello cartaceo, con tecniche i stampa diverse.
Non sto dicendo che sto iniziando a ripudiare la pittura murale, anzi rimane sempre il mio primo interesse, però sto cercando di fare qualcos altro, come lo stanno facendo altri, in quanto penso che questo movimento abbia bisogno di una crescita, che sta avvenendo e avverrà in maniera naturale.
Ultimamente, in un’intervista, il grande 108 ha detto che fare street art è da una parte un po’ troppo comodo e dall’altra un po’ limitativo. La penso come lui, in quanto, è comodo perché praticando un’arte contemporanea ti ritroverai sempre prima o poi a doverti misurare con altri tipi di arte, quindi perché limitarsi a disegnare solo sui muri e non spingersi ai limiti utilizzando altri linguaggi per esprimersi Sempre in campo urbano? Inoltre se fai altre cose è un po’ riduttivo essere definiti street artist, anche se questa parola non è che mi piace molto.
Ovviamente non ho inventato niente di nuovo, ma questo percorso rispecchia me stesso e le mie influenze ed è una cosa che mi viene naturale.
Spesso tendo a disegnare in fabbriche abbandonate, grazie anche all’urbanistica della mia città, Prato, ex centrale tessile industriale. Ultimamente molto spesso il mio intervento è molto istintivo, mi faccio molto ispirare dal luogo dove intervengo, insieme alle idee e alle influenze che ho in quel periodo, idee che spesso cambiano per via del discorso che facevo in precedenza.
In questo caso ci troviamo in una fabbrica molto grossa, situata nel Macrolotto 0, la prima zona industriale nata in questa città, limitrofa al centro, ormai in mano completamente da quasi 20 anni alla grossa comunità cinese che risiede a Prato.
In questo fabbricato, qualche mese fa, come è gia successo altre volte in alcuni magazzini, il capannone ha preso fuoco, per via della poca sicurezza in cui vivono di solito i cinesi. Così è stata sgomberato e sequestrato.
Appena entrato, oltre ad essere stato colpito dai due muretti simmetrici laterali, sono rimasto condizionato dalla grossa quantità di oggetti vari lasciati ovunque. Sicché ho deciso di usare alcuni di questi oggetti (altri non sono riuscito neanche ad alzarli in quanto ero da solo) e di creare una sorta di scultura nel mezzo ai due muri laterali, cercando di ridar vita a questi oggetti lasciati abbandonati. Un lavoro simile ad altri interventi fatti qualche tempo fa, compresa la mostra “Il Mucchio”, ma diverso, in quanto a differenza dell’ultimo ho dovuto creare la “creatura” spostando e ammucchiando gli oggetti compensando casualità e costruzione.
In più, ho voluto inserire, tramite un collegamento, una sedia posta di fronte al tutto, per creare un legame tra la persona che si metterà a sedere o io stesso (come si vede dalla foto) e gli oggetti rinati con “la creatura”, una sorta di presa elettrica, dove “la parte viva” cioè la persona, viene collegata ai vari elementi, per ridargli linfa vitale, entrando a far parte dell’opera stessa.
Nei muretti laterali ho deciso di fare due disegni d’impatto ma non troppo eccessivi, cosi che non spiccassero troppo e s integrassero con la “scenografia” creata. Inoltre l’installazione ha anche l’intento di trasformarsi in mostra con una durata imprecisabile, che dipenderà dal reggere della “creatura”, in quanto i cancelli principali sono tuttora aperti: in questo modo si crea l’opportunità di visitare l’opera da parte di chi è interessato e quindi anche di interagire con essa”.
Foto credits: Moallaseconda
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