Il mio è un no, categorico. Da qualche giorno mi sono imbattuta in questa notizia “L’appello: tutelare l’opera di Banksy”: un’iniziativa, anzi una proposta, di Inward, osservatorio internazionale sulla creatività urbana con base a Napoli impegnato da tempo nella valorizzazione della street art.
Ma facciamo un passo indietro: l’opera in questione è l’unica opera presente in Italia dello street artist più famoso del mondo. L’artista aveva realizzato, sempre a Napoli, un’altra opera, l’“Estasi di Santa Teresa” di via Benedetto Croce, deturpata nel 2010. L’unica opera rimasta è in piazza dei Gerolomini, e, inutile dirlo, è meta di tanti appassionati, curiosi e turisti.
Io l’ho vista dal vivo e posso assicurarvi che, a prescindere dalla notorietà dell’autore, è davvero di grande impatto, assolutamente da vedere.
Ebbene, la notizia è la seguente: Inward intende restaurare l’opera di Banksy. Come dichiara il direttore Salvatore Pope Velotti: “La nostra organizzazione da più di dieci anni promuove una seria discussione sul tema – sostiene Luca Borriello, direttore ricerca di Inward – e lancia appelli per la tutela delle opere di Banksy a Napoli, unica città italiana ad ospitare capolavori dello street artista: serve un intervento conservativo per lo stencil in piazza dei Gerolomini, che ancora oggi resiste pur se danneggiato soprattutto dagli agenti atmosferici”.
Chi mi conosce sa quanto amo Bansky: ci tengo a precisarlo prima di esprimere la mia netta presa di posizione su questa iniziativa per far capire quanto possa essere autentica e obiettiva. Comprendo assolutamente le buone intenzioni dell’associazione, così come comprendo il valore, in termini economico-turistici, di una simile opera in una città come Napoli, che non naviga proprie in buone acque.
Ma veniamo al punto cruciale: negli articoli che riguardano questa iniziativa si parla di “tutelare la street art perché è imprevedibile”: ma ci siamo dimenticati che la street art è imprevedibile perché LA STRADA è imprevedibile?
Ci siamo dimenticati che la street art nasce sulla strada con l’intento chiaro e semplice di pura e spontanea espressione di arte, di arricchimento di metropoli urbane senza alcun fine se non quello di aggiungere un pezzo di un puzzle a una realtà urbana, sempre in divenire? Ci siamo dimenticati che anche lo stesso Banksy, nonostante il suo inarrestabile successo planetario commerciale, è nato sulla strada, con lo stesso intento?
La risposta è sì, la gente sta dimenticando. O peggio: chi spesso parla di street art e mette le mani su progetti di street art o se ne frega altamente o non ne conosce nemmeno la storia, le caratteristiche. Regna la confusione e l’ignoranza, mista a opportunismo e a iniziative volte al solo interesse economico, in cui l’arte è solo un mero strumento, non un fine. Entrambe le strade sono pericolose, entrambe le strade rischiano di condurre l’arte di strada verso nuove direzioni che ne snaturano le sue origini, le sue peculiarità, la sua bellezza.
Ma che senso ha tutelare e restaurare un’opera di street art quando per primi gli artisti non vorrebbero mai veder restaurata una loro opera? Opinione comune è che l’arte di strada è un regalo alla città, ai passanti, è un momento di meraviglia, di estraneazione rispetto al grigiore della realtà quotidiana della città, è un momento di riflessione, è un arricchimento temporaneo. Osservare i mutamenti delle opere, che va di pari passo con quello dell’ambiente circostante, fa parte del gioco: anzi spesso controllarne la durata diventa una sfida. E quello che può essere da qualcuno considerato “deturpamento” rende spesso ancora più affascinante l’opera muraria.
Tutto questo viene vissuto dagli artisti con la massima tranquillità: questa è la legge della strada, quindi anche della street art, un’arte che va scoperta e vissuta, sul momento.
Mi piacerebbe comunque avere l’opinione degli street artist sulla questione della tutela dell’opera di Banksy.
Il mio timore è che una simile iniziativa possa costituire un precedente “pericoloso”: se l’arte di strada ha per definizione un inizio e una fine, che succederà se verrà restaurata come fosse un pezzo in un museo?
L’altra domanda che mi sorge spontanea è la seguente: ma non sarebbe meglio usare i fondi comunali per tutelare la piazza dove è presente l’opera e/o altre zone degradate di Napoli in cui è presente, o meno, l’arte di strada? O, se quello che interessa è il turismo e la valorizzazione del territorio, perché non chiamare blogger come noi di Urban Lives o appassionati di street art per scrivere e raccontare la scena locale, interessantissima e vivace, a prescindere dall’opera di Banksy?
Sono sicura che perfino Banksy sarebbe d’accordo con me (o almeno lo spero).
Invito naturalmente Inward e il Comune di Napoli a partecipare al dibattito, magari anche a collaborare. È nell’interesse di tutti valorizzare la street art, come patrimonio artistico, spero solo si trovino nuove soluzioni per farlo.
Prima di concludere aggiungo infine tre interessanti testimonianze che ho raccolto su Facebook, mentre ultimavo l’articolo.
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È stupido trattarle nello stesso modo in cui si tratta una statua di marmo del 1500. Sono opere fatte con le bombolette… Uno stancil.
L’idea della street art è interessante nella misura in cui danno colore ad un muro grigio, ma mi sembra eccessivo trattarli alla pari di opere di tutt’altra fattura e mole, tutto si muove, tutto si trasforma. A me questa maniacalità della tutela, mi sembra l’ennesima occasione per coltivare l’idea di una città immobile, che non interagisce e che non deve essere modificata. In questo articolo già qualcuno sta decidendo cosa è bello e cosa non lo è, cosa è meritevole di tutela e cosa non lo sia… L’arte nel momento in cui è in strada deve essere modificabile, invece qui si museifica
Cioè paradossalmente il vandalismo urbano si riavvicina molto più all’interazione, alla riappropriazione della città, alla messa in discussione dell’ordine precostituito.
La street art è già stata reintegrata nella classificazione del decoro urbano borghese che ammette di aver fallito con la costruzione razionalistica dei quartieri e adesso corre ai ripari con mezzucci come pennellate di colore sui muri. La nuova classe dirigente ha però bisogno di una città fatta di segni intellegibili anche dalla upper class, dalla nuova classe creativa, che già categorizza l’arte di strada come grafi degni di apprezzamento.
Tutto purché si accetti la forma urbana presente e la nuova scala sociale.
Ultimamente Blu ha cancellato un suo pezzo a Berlino perchè il luogo interessato era diventato oggetto di speculazione immobiliare per gli investitori della zona che avevano fatto lievitare i prezzi del terreno in questione perchè affacciava proprio davanti una sua opera.
La street art è la nuova frontiera del culto dell’immagine che non ha più niente a che vedere con l’arte, ma semplicemente con il turismo voyeuristico e intellettuale. Una nuova forma di esaltazione dell’ordine urbano progettato per le classi più agiate. La posta in gioco è più alta. La città deve essere plasmata. Bisogna modificarla la città, cambiare l’ordine del discorso ogni volta che il capitale incasella l’espressione culturale urbana in un oggetto da contemplazione.
Bisogna superare la street art.
(Daniele Ciko)
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Fuck Street art, enjoy vandalism.
(Gian Luigi)
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Bisognerebbe far capire a molti che le cose hanno un inizio e una fine.
Da un lato penso che è un vantaggio se dovesse venire restaurata perché si accelera un processo di digestione della street art che in italia è in ritardo, dall’altro penso che ci si dirige verso quella sponda della street art che si sta discostando dalla “strada” e preferisce il “salotto” e che finirà per normare definitivamente il “movimento” facendo leva sull’oggetto come bene da mercato dell’arte e del turismo
(Alessandro Grasso)